Finalmente la valle del Mela comincia a vedere la luce in fondo al tunnel.
I Sindaci di Milazzo e San Filippo del Mela hanno espresso, nell’ambito del riesame dell’autorizzazione della Raffineria, prescrizioni volte alla riduzione dell’inquinamento ed alla tutela della salute.
Una svolta storica che aspettavamo da decenni: grazie a queste prescrizioni verranno risparmiati tanti lutti, sofferenze e malattie.
Il Sindaco Pino
Le misure previste sono perfettamente traguardabili con alcuni miglioramenti tecnici: per la prima volta da 60 anni a questa parte verranno garantiti sia la salute che il lavoro.
Queste prescrizioni sono complementari alla legge regionale anti-inquinamento proposta dall’On. Calderone, che sanziona il superamento dei limiti: finalmente abbiamo da una parte limiti più adeguati e dall’altra sanzioni più adeguate.
Dal canto suo la Raffineria, da sempre contraria a qualsiasi miglioramento ambientale, cercherà anche stavolta di imbastire il solito teatrino, tentando di fomentare i lavoratori contro l’esigenza di tutelare la salute, inclusa quella propria.
Ma stavolta l’inganno non potrà reggere. Infatti l’anno scorso, messa “alle strette” dalle ancor più restrittive prescrizioni del Piano di qualità dell’aria, la RAM ha dichiarato di poter quanto meno implementare alcuni miglioramenti ambientali: proprio quelli oggi richiesti dalle prescrizioni dai Sindaci.
Il Sindaco Midili
Poi il Piano dell’aria venne annullato e non se ne fece nulla. Sono però rimaste nere su bianco le dichiarazioni della RAM sulla possibilità di ridurre l’inquinamento entro i limiti corrispondenti alle odierne prescrizioni. Pertanto, se adesso la RAM dicesse che si tratta di prescrizioni non raggiungibili, la menzogna sarebbe evidente a tutti.
Ricordiamo che già nel gennaio 2018 gli allora Sindaci di Milazzo e San Filippo del Mela avevano espresso prescrizioni sanitarie volte a ridurre l’inquinamento, ma poi, cedendo alle pressioni della RAM, le hanno ridicolmente ritirate prima che potessero entrare in vigore. Ne è scaturita una lunga lotta – anche giudiziaria – di cittadini, comitati, associazioni ed amministrazioni comunali della zona per il ripristino delle prescrizioni necessarie a tutelare la salute degli oltre 100 mila abitanti del comprensorio.
L’On. Calderone
Una richiesta ferma e precisa che il nostro comitato, assieme a varie associazioni ed amministrazioni comunali della zona, ha avanzato anche in questo riesame dell’autorizzazione della Raffineria, con osservazioni pertinenti e ben circostanziate.
Osservazioni che sono state recepite dai Sindaci di Milazzo e San Filippo del Mela, che hanno così scelto di schierarsi dalla parte dei cittadini, a beneficio anche della salute dei lavoratori.
Una scelta che stavolta non dev’essere rinnegata con un’altra marcia indietro. Ai Sindaci Pino e Midili va quindi il nostro plauso, con l’invito a non cedere alleindebite pressioni che dovessero ricevere dai signori del petrolio.
Anche la Regione ha dato il via libera definitivo ad una nuova Centrale Termoelettrica proposta dalla Duferco, da realizzarsi a Giammoro. L’anno scorso l’impianto aveva già ottenuto un primo via libera dal Ministero dell’Ambiente, che lo aveva escluso dalla Valutazione di Impatto Ambientale. Un provvedimento illegittimo contro cui abbiamo presentato un ricorso gerarchico all’allora Ministro Sergio Costa, senza ottenere alcun riscontro.
La buona notizia è che adesso l’autorizzazione definitiva risulta ancora più palesemente illegittima e quindi, con un ricorso al TAR, potrebbe essere facilmente annullata.
Nell’autorizzazione vi è infatti un palese travisamento della vigenza normativa. Nelle nostre osservazioni abbiamo invocato il rispetto dell’art. 271 del codice, che impone la valutazione degli effetti cumulativi delle emissioni dell’impianto da autorizzare con quelle degli impianti già presenti nella zona. Una valutazione che non è stata fatta, poichè secondo l’autorizzazione l’art. 271 del codice non si applicherebbe alle Autorizzazioni Integrate Ambientali. Un’ interpretazione normativa palesemente erronea, già smentita da una recente decisione del TAR di Catania [1] (lo stesso cui spetterebbe la decisione su questa nuova autorizzazione, in caso di ricorso).
Insomma ci sono tutte le carte in regola per poter annullare questo ennesimo affronto alla valle del Mela e scongiurare un altro impianto inquinante nel nostro già martoriato territorio.
Un impianto non comparabile per dimensioni alla raffineria o alla già presente centrale A2A, ma che comunque avrebbe emissioni da non trascurare in un contesto già critico come quello della valle del Mela.
L’autorizzazione infatti prevede, per ogni ora di funzionamento, l’emissione di 7,8 Kg di ossidi di azoto (NOx), 2,6 Kg di monossido di carbonio (CO) e 1,6 Kg l’ora di ammoniaca (NH3).
L’impianto in questione non funzionerebbe in maniera continua, ma “a singhiozzo” e questo potrebbe far crescere di molto le emissioni complessive.
Infatti per ogni fase di arresto e riavvio è prevista l’emissione aggiuntiva di 6,2 kg di NOx e di 6,9 kg di CO (vedi pag. 25 del Parere Istruttorio allegato all’autorizzazione).
A preoccupare sarebbero soprattutto le emissioni di NOx che, combinandosi con gli idrocarburi volatili presenti in alte concentrazioni nella zona, potrebbero far aumentare i già pericolosi livelli di ozono troposferico nella zona.
Neanche l’impatto paesaggistico sarebbe indifferente, considerata ad esempio la ciminiera alta 25 metri e larga 4.
Pertanto rivolgiamo un appello a tutti i soggetti (associazioni, amministrazioni, cittadini) potenzialmente legittimati a ricorrere: non lasciamoci sfuggire l’occasione di scongiurare facilmente quest’altro impianto inquinante di cui non si sente affatto la necessità; ci sono poche settimane di tempo, contattateci al più presto (email: cittadinicontroinceneritore@gmail.com).
Si allega qui l’autorizzazione da impugnare, pubblicata sulla GURS del 30 luglio 2021:
[1] Nell’ambito del ricorso ancora pendente sull’autorizzazione della Raffineria di Milazzo il TAR ha disposto la verificazione in merito al supposto mancato rispetto proprio dell’art. 271 del Codice, proprio in quanto trova applicazione anche e soprattutto nelle Autorizzazioni Integrate Ambientali. Peraltro neanche gli avvocati della Raffineria hanno sostenuto la tesi inverosimile su cui si basa l’autorizzazione rilasciata dalla Regione alla Duferco.
Nel marzo 2018 una perdita da un serbatoio della Raffineria provocava lo sversamento di ingenti quantità di gasolio nel sottosuolo. Un grave incidente di cui la stampa (anche nazionale) ha parlato solo in quanto una parte del gasolio, infiltrandosi nel sottosuolo, è finita anche in mare.
Ma le conseguenze, ad esempio, sulle falde acquifere del comprensorio potrebbero essere ben più gravi. L’esatto quantitativo della perdita non è noto. Di certo sappiamo che nei mesi successivi sono stati recuperati circa 750 mila litri di gasolio dall’emungimento del sottosuolo. Chissà quanto gasolio è invece rimasto nel sottosuolo e nelle falde acquifere della valle del Mela. Centinaia di migliaia di litri? O forse milioni? Basti pensare che il serbatoio da cui si è verificata la perdita poteva contenere fino a 100 milioni di litri di gasolio.
In seguito all’incidente una ispezione di Ispra (il braccio tecnico del Ministero dell’Ambiente) ha accertato la violazione di alcune prescrizioni da parte della Raffineria. Dal canto suo, nell’ottobre 2018 il Ministero ha diffidato la Raffineria ad adottare misure più adeguate a prevenire incidenti del genere.
I modi per prevenire tali incidenti sono essenzialmente due: dotare i serbatoi di un doppio fondo ed aumentare i controlli sui serbatoi che hanno ancora un fondo singolo. In seguito all’incidente la Raffineria ha dichiarato di poter installare i doppi fondi più velocemente, ad un ritmo di circa 8-9 l’anno, in modo da completare l’installazione in tutti i serbatoi entro il 2026. Inoltre ha dichiarato di poter intensificare i controlli sui serbatoi a fondo singolo (ogni anno anzichè ogni 5 anni).
Nel febbraio 2019 è stato avviato un riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che avrebbe dovuto recepire tali misure. Il riesame si è concluso solo nel marzo 2021, a distanza di più di 2 anni, ma, cosa ancora più grave, si è rivelato una gigantesca presa in giro per la valle del Mela: nessuna delle misure che erano state individuate per prevenire gli incidenti analoghi a quello del marzo 2018 sono state recepite.
Come se nulla fosse successo, le prescrizioni inerenti l’installazione dei doppi fondi ed i controlli sui serbatoi a fondo singolo sono rimaste quelle previste nell’AIA 2018. Pertanto la Raffineria ha potuto fare marcia indietro sugli impegni assunti a seguito dell’incidente.
Come se non bastasse, il riesame ha persino ammorbidito una prescrizione inerente l’impermeabilizzazione dei bacini di contenimento attorno ai serbatoi. Insomma, oltre il danno la beffa. Gli autori di questo capolavoro meritano di essere menzionati:
Si tratta dei componenti del Gruppo che ha condotto l’istruttoria, con la benedizione, ovviamente, delle relative amministrazioni competenti (i primi 4 fanno parte dell’ex Ministero dell’Ambiente, oggi Ministero della Transizione Ecologica).
Invitiamo tutti i soggetti e le amministrazioni interessate, anche dei comuni limitrofi, a presentare al più presto ricorso, al fine di evitare il ripetersi di incidenti analoghi (se non più gravi) a quello del marzo 2018.
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Per approfondire:
La diffida con cui il MATTM ha diffidato la Raffineria affichè installasse i doppi fondi più velocemente ed intensificasse i controlli sui serbatoi a fondo singolo:
Da notare in particolare che si chiede, al punto C:
“di valutare e proporre eventuali ulteriori misure tecniche e gestionali rispetto a quelle già proposte, consistenti nella realizzazione dei doppi fondi in tempi più brevi di quelli previsti dal decreto di riesame dell’AIA e l’intensificazione del controllo con emissioni acustiche del fondo dei serbatoi a fondo singolo”;
Ciò significa che lo stesso MATTM, alla luce del noto incidente, reputava non sufficienti le prescrizioni previste nell’AIA 2018 per l’installazione dei doppi fondi ed i controlli sui serbatoi a fondo singolo. Pertanto non si capisce perchè poi nel riesame tali prescrizioni non siano state adeguate, mancando di recepire gli stessi impegni assunti dalla RAM.
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2) Il Cronoprogramma di installazione dei doppi fondi di cui alla seguente nota della RAM del 30.11.2018:
Come si può notare, a seguito dell’incidente e della diffida, la RAM ha programmato l’installazione dei doppi fondi ad un ritmo di 8-9 l’anno, in modo tale da completare entro il 2026. Tuttavia tutto ciò ad oggi non si è verificato, in quanto tali impegni non sono stati recepiti nel riesame AIA.
Inoltre in questa nota si ribadisce la riduzione degli intervalli di controllo con emissioni acustiche, “per i serbatoi ancora dotati di singolo fondo e per i quali è prevista l’installazione del doppio fondo, da cinque anni a un anno”. Come vedremo, neanche questa intensificazione dei controlli è stata recepita nel riesame AIA.
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3) A seguito dell’avvio del riesame AIA nel febbraio 2019, il MATTM ha chiarito la sua connessione logica con l’incidente e gli argomenti trattati nella diffida. Infatti nella seguente nota del MATTM si afferma:
<< Fermo restando .. che con nota prot. n. DVA/4204 del 22/02/2019 la scrivente Direzione ha avviato un procedimento di riesame parziale dell’AIA per, tra l’altro, “la verifica della adeguatezza delle prescrizioni inerenti la gestione dell’invecchiamento dei serbatoi di stoccaggio e dell’inquinamento del suolo, anche alla luce di quanto emerso nel corso delle attività ispettive AIA e dalle attività del Comitato Tecnico Regionale per la Sicilia, a seguito della riscontrata perdita di prodotto idrocarburico verificatasi presso un serbatoio dell’istallazione” … si rinvia la problematica riferita alla gestione del parco serbatoi alle valutazioni della competente Commissione IPPC in sede di istruttoria >>.
4) Come si può notare confrontando l’AIA 2018 (https://va.minambiente.it/File/Documento/296334) con il provvedimento finale di riesame (https://va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/1899/9976?Testo=&RaggruppamentoID=2258#form-cercaDocumentazione), le misure che la diffida del MATTM reputava necessarie e su cui la stessa RAM si era impegnata al fine di prevenire altri incidenti sui serbatoi a fondo singolo, non sono state recepite nella modifica dell’AIA. Pertanto l’installazione dei doppi fondi prevista è tornata ad un ritmo di 4 serbatoi l’anno. Inoltre, come riportato nella tabella a pag. 38 del Piano di Monitoraggio e Controllo, i controlli sui serbatoi ancora a fondo singolo sono rimasti i seguenti:
Come si può notare, sebbene nella diffida il MATTM aveva chiesto controlli con emissione acustica più frequenti e sebbene la RAM si era detta disposta a farli ogni anno anzichè ogni 5 anni, il riesame ha lasciato una frequenza quinquennale.
Come se non bastasse, la prescrizione 110 sull’impermeabilizzazione dei bacini (vedi pagg.5-6 del Parere Istruttorio Conclusivo) è stata ammorbidita rispetto alla versione dell’AIA 2018.
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5) Gli effetti pratici di queste gravi anomalie del riesame sono testimoniati dalla seguente nota della RAM, che aggiorna il cronoprogramma di installazione dei doppi fondi:
Cosi può notare, laddove nel 2018 (a seguito della diffida) la RAM prevedeva di installare i doppi fondi su 8-9 serbatoi l’anno (che le avrebbe consentito di completare entro il 2026), adesso la RAM ha fatto retromarcia, prevedendo l’installazione su 4 serbatoi l’anno.
N.B.: Nel cronoprogramma è riportato erroneamente “serbatoi per messa fuori esercizio”: si tratta ovviamente di un refuso, trattandosi dei serbatoi per cui è prevista l’installazione dei doppi fondi. Basta confrontare questo cronoprogramma con quello riportato nella nota del 30.11.2018 per capirlo e notare l’entità della retromarcia.
Cosa prevede per la valle del Mela la tanto decantata transizione ecologica, a cui è destinata buona parte del Recovery Found? Leggendo la bozza del PNRR, meglio conosciuto come “Recovery Plan”, la risposta è semplice: praticamente nulla.
Eppure si tratta di un territorio che, per servire il fabbisogno energetico del paese, continua a pagare un prezzo altissimo dal punto di vista ambientale e sanitario. Tant’è che vi sono istituiti un Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche ed un’Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale.
Da 60 anni la valle del Mela ospita la Raffineria di Milazzo, una delle maggiori fonti inquinanti di tutta la Sicilia. Non a caso, nella zona risultano in eccesso le patologie che spesso si associano a raffinerie e petrolchimici. Tra queste vi sono ad esempio le malformazioni congenite: l’ultima indagine epidemiologica dell’Istituto Superiore di Sanità evidenzia tra i nati di Milazzo e dintorni l’eccesso di malformazioni congenite più elevato a livello nazionale (+79%).
Di primaria importanza anche la questione climatica. La Sicilia è la terza regione d’Italia ad emettere gas serra, con 15,1 milioni di tonnellate l’anno. Di questi buona parte provengono dalle raffinerie della regione. Solo la Raffineria di Milazzo produce 2,4 milioni di tonnellate di gas serra l’anno. Cosa ancor più grave, nel decennio da poco concluso tali emissioni non hanno mostrato alcuna riduzione significativa, in controtendenza rispetto al dato nazionale.
L’anno scorso il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale stava per predisporre la completa conversione a gas degli impianti di combustione della Raffineria, in applicazione del Piano regionale di tutela della qualità dell’aria, che puntava a ridurre le emissioni delle maggiori fonti inquinanti della Regione. Purtroppo tali misure sono state annullate dal T.A.R. per questioni procedurali e pertanto la conversione delle raffinerie siciliane è stata accantonata. Nell’era della “rivoluzione verde” risulta però fortemente anacronistico che la raffineria continui ad utilizzare combustibili altamente inquinanti e climalteranti come il coke e l’olio combustibile.
Per questo noi del Comitato dei cittadini contro l’inquinamento nella valle del Mela, insieme ad ARCI Messina, abbiamo chiesto al governo di inserire nel PNRR la “decarbonizzazione” della Raffineria di Milazzo, ovvero gli interventi di conversione volti ad abbandonare, nei suoi processi di lavorazione, l’utilizzo dell’olio combustibile e del coke.
Ciò consentirebbe non solo di ridurre le emissioni climalteranti e di migliorare la qualità dell’aria e la salute dei cittadini, ma anche di tutelare ed incrementare il lavoro.
Alcuni sindacati negli ultimi anni si sono opposti a questa conversione, seguendo la linea miope e retrograda dell’azienda: non è così che si fanno gli interessi dei lavoratori. Ma c’è ancora tempo per ricredersi: lanciamo un appello a tutti coloro che hanno a cuore la salute ed il lavoro nella valle del Mela affinchè si uniscano a noi in questa importante battaglia.
Viviamo in un periodo che sicuramente passerà alla storia non solo per la pandemia e la crisi che ne è seguita, ma anche per la svolta verde che sembra aver preso l’economia. Le energie rinnovabili sono in forte crescita, la cosiddetta Green Economy vola nelle borse, mentre Elon Musk, il fondatore di Tesla, la principale casa produttrice di auto elettriche, è diventato l’uomo più ricco del pianeta. I governi di mezzo mondo sono pronti a massicci investimenti per contrastare la crisi economica scaturita dalla pandemia, ma dicono di volerlo fare in una direzione ben precisa: quella della “rivoluzione verde”, della “transizione ecologica” e della “decarbonizzazione” (ovvero la riduzione delle emissioni di CO2 dalle fonti di energia). Del resto il pianeta sta andando incontro ad una crisi climatica senza precedenti e non c’è più tempo da perdere.
Ma in concreto cosa significano queste nuove parole d’ordine per la Valle del Mela, da decenni messa in ginocchio da grosse industrie inquinanti? Pochi si sono resi conto che la decarbonizzazione, di cui oggi politici e giornalisti si riempiono la bocca, avrebbe potuto essere applicata nella valle del Mela già da 3 anni. Infatti proprio tre anni fa i Sindaci competenti, forse anche sull’onda della mobilitazione e di una inedita coscienza ambientale del territorio, si decisero finalmente a fare il proprio dovere, dettando le prescrizioni necessarie a tutelare la salute pubblica nell’ambito dell’ Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) della Raffineria. Per adempiere a tali prescrizioni la Raffineria avrebbe dovuto fare essenzialmente due cose:
per l’appunto “decarbonizzare”, ovvero sostituire i combustibili oleosi con combustibili gassosi, molto meno inquinanti sia in termini di CO2 che di polveri, metalli pesanti, SO2 e NOx;
introdurre degli accorgimenti per limitare le copiose emissioni fuggitive di idrocarburi volatili.
Ma la Raffineria si scagliò contro le prescrizioni sanitarie spalleggiata da certi sindacati fiancheggiatori. Addirittura anche amicizie influenti nel MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) intervennero in aiuto dell’insensata crociata contro la decarbonizzazione. Alla fine la RAM convinse in extremis i due Sindaci a firmare un accordo truffa, riuscendo così a scongiurare, con il beneplacito del Ministero dell’Ambiente, le prescrizioni sanitarie.
Una vicenda non certo regolare dal punto di vista amministrativo, tant’è che si trova al centro di un famoso ricorso presentato pochi mesi dopo al TAR di Catania. In un primo momento i giudici riconobbero l’urgenza del ricorso, considerate le gravi implicazioni sulla salute pubblica dei fatti contestati, e ne stabilirono la trattazione alla prima data utile, ovvero nel febbraio 2019. Ma poi (chissà come mai), vennero sostituiti da altri giudici che non sembrano finora aver riconosciuto tale urgenza. Infatti la decisione, per un motivo o per un altro, è stata di volta in volta rimandata.
Nel frattempo anche il Commissario Straordinario di San Filippo del Mela ed il Sindaco Metropolitano di Messina dell’epoca si accorsero del grave errore e chiesero al nuovo Ministro dell’Ambiente Costa di correggerlo. Si trattava in pratica di annullare la famigerata Conferenza dei servizi, evidentemente illegittima, che fece fuori le prescrizioni sanitarie. Analoga richiesta l’abbiamo fatta anche noi, in una lettera consegnata brevi manu e discussa con il Ministro durante la sua visita a Milazzo del maggio 2019. Ma il Ministro Costa nulla ha fatto in questo senso, permettendo alla Raffineria di continuare ad inquinare indisturbata.
Un’altra occasione mancata di decarbonizzazione è stata quella del Piano di tutela della qualità dell’aria, approvato dalla Regione nell’estate 2018. Le misure del Piano si articolavano in due step: il primo, riconosciuto come raggiungibile anche dalla stessa RAM, sarebbe entrato in vigore nel 2022, mentre l’altro, contestato dai gruppi petroliferi, nel 2027. In entrambi i casi si trattava sempre di decarbonizzare le raffinerie, ovvero di sostituire i combustibili oleosi con quelli gassosi. Ripartì la solita crociata anti-decarbonizzazione, con il pieno coinvolgimento di sindacati fiancheggiatori e mass-media. Dal canto suo, il governo regionale si mostrò disposto a venire incontro ai petrolieri. Ma a togliergli le castagne al fuoco ci pensarono i giudici del Tar di Palermo, che dopo ben otto mesi di “riflessione” decisero di annullare tutti i limiti previsti nel Piano per raffinerie e altre industrie inquinanti, scongiurando anche stavolta la decarbonizzazione.
Capitolo chiuso quindi? Non di certo. Nel novembre 2020 il verificatore nominato dal Tar di Catania ha dato ragione al ricorso contro l’AIA della Raffineria di Milazzo: ha riconosciuto che l’accantonamento delle prescrizioni sanitarie ha fatto sparire persino diversi limiti già vigenti prima del 2018. Pur di non andare incontro ad una sconfitta certa, il Ministero dell’Ambiente ha quindi deciso di avviare un nuovo riesame dell’A.I.A. della Raffineria, chiedendo, con questa scusa, l’ennesimo rinvio (accordato) della decisione dei giudici del Tar di Catania.
È ovvio che nell’ambito di questo riesame si ripresenta l’obbligo per i Sindaci competenti di esprimere le necessarie prescrizioni a tutela della salute pubblica. Il 2021 sarà quindi l’anno decisivo per le prescrizioni sanitarie e la decarbonizzazione della Raffineria? Certamente è un obiettivo concreto per il quale il territorio (cittadini, associazioni ed enti locali) si deve battere.
Come sappiamo nella Valle del Mela c’è anche una grossa centrale termoelettrica. Negli ultimi anni a livello nazionale le fonti rinnovabili (eolico, solare, ecc…) hanno sostituito buona parte della produzione termoelettrica. Sgravare la valle del Mela da tale produzione era una delle promesse del controverso elettrodotto di Terna. Invece, in controtendenza con quanto avviene a livello nazionale, la valle del Mela rischia di subire un incremento della produzione termoelettrica e anche un ulteriore impianto (ridondante) di bilanciamento della rete, proposto dalla Duferco.
Infatti il “combinato disposto” delle nuove Centrali A2A e Duferco, sebbene a metano, potrebbe far crescere le emissioni di NOx del 444% rispetto alle emissioni registrate nel 2019 da parte della odierna Centrale A2A. Gli NOx sono tra i principali precursori dell’ozono troposferico, specie nella valle del Mela dove si combina con gli elevati livelli di idrocarburi non metanici. Una delle principali criticità ambientali che la rete Arpa è riuscita a rilevare nella valle del Mela è proprio il superamento dei valori di ozono (e per rilevarlo la rete Arpa, con le note carenze, vuol dire che la situazione è davvero grave).
Chiaramente le emissioni della Centrale Duferco sarebbero largamente inferiori rispetto a quelle di A2A o della RAM, ma comunque non trascurabili. Almeno il progetto della nuova Centrale A2A prevede la fermata (e si spera anche lo smantellamento, come abbiamo chiesto) della vecchia Centrale, con conseguenti innegabili vantaggi ambientali sui livelli di polveri e SO2. Invece il progetto Duferco non prevede la fermata di alcun vecchio impianto e la sua funzione di bilanciamento della rete potrebbe essere benissimo assolta dal nuovo impianto A2A. Insomma, oltre il danno la beffa: non solo la valle del Mela continuerà a sacrificarsi per l’interesse nazionale, ma lo farà anche senza alcun criterio logico.
Sul progetto della nuova Centrale A2A abbiamo chiesto prescrizioni volte a scongiurare l’incremento degli NOx, oltrechè allo smantellamento della vecchia centrale. Sulla nuova Centrale Duferco, invece, abbiamo anche inviato al Ministro dell’Ambiente un dettagliato ricorso gerarchico contro la decisione, palesemente illegittima, di escluderla dalla Valutazione di Impatto Ambientale. Lo stesso hanno fatto anche alcuni cittadini di Pace del Mela, ma dal Ministro Costa abbiamo ottenuto solo un imbarazzante silenzio. Cosa farà ora il nuovo Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani?
I giudici del TAR di Catania hanno rinviato al 5 novembre prossimo la decisione sul cruciale ricorso contro il rinnovo dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) alla Raffineria di Milazzo.
Il rinvio è stato chiesto dall’Avvocatura dello Stato con la scusa che il nuovo riesame dell’AIA – da poco avviato (furbescamente) dal Ministero dell’Ambiente – potrebbe sanare quanto contestato nel ricorso, rendendo superflua una pronuncia del TAR.
Già, potrebbe. Ma potrebbe anche essere un espediente per perdere altro tempo, tant’è che i comuni e le associazioni ricorrenti si erano opposti alla richiesta di rinvio.
Ricordiamo che gli aspetti illegittimi contestati nel ricorso sono essenzialmente due:
l’omissione delle “prescrizioni sanitarie”, ovvero i limiti emissivi necessari a ridurre l’inquinamento per tutelare la salute pubblica (limiti prima prescritti e poi cancellati in maniera truffaldina);
l’omissione di determinati limiti addirittura già presenti nella precedente AIA del 2011.
Adesso occhi puntati al nuovo riesame dell’AIA dunque. Il Ministero è riuscito a convincere i giudici di voler “mettere la testa a posto”, ma questo è tutto da vedere.
I comuni e le associazioni ricorrenti hanno segnato un importante “goal” nella partita contro l’autorizzazione illegittima della Raffineria di Milazzo (A.I.A.). Il verificatore incaricato dal TAR di Catania ha infatti confermato quanto lamentato nel ricorso in merito all’omissione di diversi limiti emissivi. Sono state invece smentite le tesi difensive del Ministero dell’Ambiente e della Raffineria.
Si tratta di gravi irregolarità che comportano seri rischi per la salute dei cittadini, come da noi evidenziato già dal maggio 2018, quando il Ministero ha rilasciato la vigente autorizzazione della Raffineria (Vedi QUI). Tale autorizzazione è illegittima anche perchè sono state depennate le prescrizioni sanitarie, cioè gli ulteriori limiti emissivi necessari a garantire un’adeguata tutela della salute pubblica.
In seguito sia l’allora Commissario di S. Filippo del Mela che l’allora Sindaco Metropolitano di Messina, resisi conto della gravità di tali aspetti, hanno inoltrato all’attuale Ministro dell’Ambiente Sergio Costa formale richiesta di riaprire la procedura.
Il Ministro non ha dato seguito a tale richiesta, cosicchè vari comuni, supportati da diverse associazioni, hanno presentato il suddetto ricorso al TAR. Nel giudizio che ne è scaturito il Ministero ha sempre difeso l’autorizzazione della Raffineria. Soltanto adesso, dopo 2 anni e mezzo, il Ministero dell’Ambiente si è accorto che i limiti imposti alla raffineria non sono adeguati ed ha avviato un nuovo riesame dell’autorizzazione. Stando a quanto riportato su alcuni organi di stampa, secondo la Sen. Barbara Floridia l’avvio di questo nuovo riesame sarebbe merito del Ministro “Sergio Costa, che grazie alla continua interlocuzione con la sottoscritta” (cioè con la stessa Floridia), opererebbe “al solo fine di salvaguardare la salute dei cittadini residenti nella Valle del Mela”. La realtà è però ben diversa. Il 17 dicembre si terrà al TAR di Catania l’udienza decisiva sul ricorso. Consapevole di avere altissime probabilità di perdere la causa, il Ministero ha pensato bene di avviare tale riesame per tentare di ottenere il rinvio dell’udienza e scongiurare una condanna. Così facendo i cittadini dovrebbero aspettare altri 2 anni per ottenere giustizia, prolungando ulteriormente la loro esposizione a rischi inaccettabili. Tra l’altro il nuovo riesame del Ministero non è volto a sanare i vizi principali dell’autorizzazione della Raffineria (ad esempio non si fa riferimento alla grave assenza delle prescrizioni sanitarie).
Ovviamente i comuni e le associazioni ricorrenti si opporranno alla strumentale richiesta di rinvio del Ministero. Ci auguriamo che i giudici del TAR rigettino tale abietto tentativo e che invece accolgano in toto il ricorso, sancendo finalmente il fondamentale diritto alla salute dei cittadini della valle del Mela.
L’emergenza alla discarica di Mazzarrà è l’ennesimo esempio di ciò che succede quando i rifiuti diventano affare per pochi a danno della collettività: scempio ambientale e pericoli per la salute.
Purtroppo ciò vale sempre, sia che si tratti di discariche che di inceneritori.
Per oltre un decennio una società mista (composta da privati con la partecipazione del comune di Mazzarrà) ha fatto affari colossali depositando in una collina posta a ridosso del centro abitato di Furnari milioni di tonnellate di rifiuti, alcuni provenienti anche dalla Campania, senza una preventiva biostabilizzazione.
Qualche anno fa la magistratura ha disposto la chiusura della discarica, che però non è mai stata messa in sicurezza. Troppo spesso infatti le istituzioni si sono disinteressate dei rischi per la salute dei cittadini del nostro comprensorio.
Come risultato un fiume di liquame tossico, prodotto dai rifiuti non biostabilizzati della discarica, ha raggiunto il sottostante torrente. Come se non bastasse negli ultimi giorni la discarica è andata incontro a fenomeni verosimilmente di autocombustione, tanto che si è sviluppato un vero e proprio incendio di rifiuti.
Tuttò ciò è il prodotto di una gestione dissennata dei rifiuti, che continua a violare la direttiva europea che da quasi dieci anni impone in via prioritaria misure come la prevenzione, la raccolta differenziata ed il riciclaggio.
Una direttiva recepita ma mai applicata dallo Stato italiano, che di fatto continua a dare priorità agli inceneritori, e men che meno dalla Regione Siciliana, che continua a depositare rifiuti nelle discariche senza neanche una preventiva biostabilizzazione.
Non si può infatti non evidenziare le responsabilità dei vari governi regionali per la carenza nell’Isola di impianti atti ad una corretta gestione dei rifiuti (compostaggio, trattamento meccanico, riciclaggio). Carenze a tutto vantaggio dei gestori delle discariche, che non possono di certo essere nascoste o ancor meno risolte con il famigerato Piano dei 6 inceneritori avanzato l’anno scorso dal governo regionale su pressione del Governo Renzi.
Per fortuna sembra che il suddetto Piano sia stato accantonato dopo la nostra diffida, ma sul nostro territorio incombe comunque la minaccia di un’altra società mista, la lombarda A2A, che vorrebbe lucrare stavolta bruciando milioni di tonnellate di rifiuti, chepotrebbero provenire da tutta Italia, nella già martoriata valle del Mela.
Il Comitato dei cittadini contro l’inceneritore del Melaesprime solidarietà ai cittadini di Furnari, Mazzarrà S.Andrea e Terme Vigliatore e si unisce alla loro richiesta di IMMEDIATA messa in sicurezza della discarica.
Chiediamo inoltre con forza che la Regione esca finalmente dal suo torpore e si decida a difendere gli interessi e la salute dei siciliani con atti concreti:
Dando il via a procedure d’urgenza che possano portare in breve tempo alla realizzazione, anzichè degli odiati inceneritori, di impianti di compostaggio, riciclaggio e selezione meccanica dei rifiuti con recupero di materia;
Obbligando i gestori delle discariche a dotarsi immediatamente di impianti di biostabilizzazione;
Esautorando i Sindaci che non si adoperano per estendere la raccolta differenziata;
Esprimendo finalmente un parere negativo nei confronti del progetto A2A del mega-inceneritore del Mela.
A pochi mesi dai referendum in tre comuni della Valle del Mela che hanno dimostrato la forte contrarietà dei cittadini verso l’inceneritore, oggi siamo chiamati nuovamente alle urne per un importante referendum. Stavolta si vota in tutta Italia e il quesito riguarda le trivellazioni in mare.
Come per ogni referendum pesa come un macigno l’obiettivo difficilissimo del quorum. A questo meccanismo già di per sé iniquo ed antidemocratico si aggiunge puntualmente uno spudorata strategia che punta a far fallire ogni referendum. La casta dei politici infatti teme la possibilità che i cittadini possano decidere su questioni importanti e fa di tutto per conservare il proprio monopolio del potere decisionale.
Se il referendum sulle trivellazioni fosse stato accorpato alle elezioni amministrative del 5 giugno, come da più parti era stato chiesto, si sarebbero potuti risparmiare ben 300 milioni di euro dei cittadini. Ma poiché in quel modo l’affluenza alle urne sarebbe stata maggiore, con maggiori chance di raggiungere il quorum, il governo ha preferito buttare 300 milioni pur di boicottare il referendum. Quindi non stupisce che il governo – dimostrando ancora una volta il proprio elevato senso delle istituzioni – abbia anche invitato i cittadini a non recarsi alle urne.
La migliore risposta che i cittadini possono dare a questa politica arrogante e spudorata è quella di recarsi alle urne oggi (si vota fino alle 23), a prescindere da come la si pensi riguardo a questo particolare quesito e da come ognuno sceglierà di votare . In tal modo, sia che il quorum venga o meno raggiunto, i cittadini non si renderanno complici di chi li vorrebbe privare di un importante diritto.
Entrando nel merito del quesito referendario, sebbene il nostro Comitato inviti comunque ad andare a votare a prescindere dalle opinioni di ognuno, sono molteplici i motivi per cui sarebbe a nostro avviso auspicabile una vittoria del SI:
– la vittoria del SI rimetterebbe un termine alle concessioni già esistenti per le trivellazione entro le 12 miglia dalla costa. In caso contrario tali trivellazioni non avranno un tempo determinato. Ciò costituirebbe un enorme regalo alle multinazionali petrolifere a danno delle casse pubbliche. Infatti le royalties che le multinazionali pagano allo stato prevedono una franchigia: se le estrazioni avvengono lentamente e ogni anno l’estrazione non supera un certo quantitativo, le multinazionali non devono pagare alcuna royalty. Così facendo, le multinazionali sono incentivate a prendersela comoda, prolungando l’estrazione praticamente in eterno. Viceversa con una concessione limitata nel tempo, le multinazionali sarebbero incentivate a fare in fretta ad estrarre il più possibil. Ma in questo caso dovrebbero pagare royalties allo stato: ecco perché la vittoria del referendum non gli conviene (e conviene invece ai contribuenti).
– Sulle trivellazioni in mare pende continuamente il rischio di incidenti potenzialmente catastrofici. Si pensi ad esempio al disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel golfo del messico del 2010 (vedi foto): mare nero ancora oggi e danni incalcolabili.
Certo la vittoria del SI non eliminerebbe ogni rischio, ma almeno permetterebbe di ridurlo.
– La vittoria del SI stimolerebbe un cambiamento delle strategie energetiche del paese: – petrolio, + rinnovabili; – gas dalle trivellazioni, + biogas dalla digestione anaerobica dei rifiuti (e quindi anche – discariche e – inceneritori). Ciò permetterebbe inoltre di creare molti nuovi posti di lavoro.
A prescindere dall’esito referendario, il Comitato dei cittadini contro l’inceneritore del Mela auspica la nascita di un ampio movimento a favore dell’abolizione del quorum, in quanto è ormai chiaramente diventato un escamotage per far fallire ogni referendum, iniquo e antidemocratico per vari motivi:
– il quorum non è previsto per le altre consultazioni elettorali;
– fa si che il non-voto della maggioranza silenziosa dei cittadini, i quali non vorrebbero influire né in un senso né nell’altro, venga interpretato come un “NO” e che addirittura prevalga sulla scelta dei cittadini che invece si recano alle urne e che quindi sono effettivamente interessati alla questione oggetto del referendum;
– disincentiva coloro i quali voterebbero “NO” a recarsi alle urne, in modo che possano vincere facilmente sui “SI” aggregandosi alla massa di cittadini che non si recano alle urne per vari motivi;
– in tal modo di fatto viene meno la segretezza del voto, perché è palese che chi va a votare lo fa nella stragrande maggioranza dei casi per votare “SI”;
– si produce spesso la situazione paradossale per cui i “SI” perdono non perché sono i “NO” a prevalere (come sarebbe normalmente legittimo in un democrazia), bensì proprio per carenza di “NO”, i quali, astenendosi dal voto, puntano al mancato raggiungimento del quorum. Paradossalmente qualche NO in più spesso farebbe raggiungere il quorum e permetterebbe ai “SI” di vincere.
Tale movimento dovrebbe darsi l’obiettivo di ottenere l’abolizione (o almeno la significativa riduzione) del quorum a partire dalla prossima tornata referendaria, che con ogni probabilità riguarderà, oltre alle trivellazioni in mare, anche gli inceneritori, ovvero l’abrogazione dell’art.35 dello “sblocca italia”. Su tali quesiti è recentemente partita la raccolta firme. Ad esempio oggi l’associazione Alsa raccoglie le firme a Santa Lucia del Mela presso il Santuario Madonna della Neve, a partire dalle 17.30.
Ricordiamo che per poter firmare è necessario portare con sé un documento di identità valido.
Prossimamente aggiorneremo i cittadini sugli altri banchetti e sui comuni dove sarà possibile firmare.
Secondo le indiscrezioni riportate nella Gazzetta del Sud di oggi il Ministero dei Beni Culturali ha dato parere negativo sul progetto Edipower dell’inceneritore del Mela!
Il parere del Ministero dei Beni Culturali è vincolante. Se la notizia venisse confermata sarebbe quindi un importantissimo risultato in vista del traguardo finale. Del resto il Ministero dei Beni Culturali non poteva fare altro che recepire il parere contrario della Soprintendenza di Messina, già formulato lo scorso Novembre sulla base del Piano Paesaggistico d’Ambito 9. Quest’ultimo vieta il potenziamento degli impianti nella centrale elettrica di San Filippo e nella RAM.
Non dobbiamo tuttavia abbassare la guardia. Il Ministro Galletti in teoria potrebbe non essere d’accordo con il Ministero dei Beni Culturali.
E’ importantissimo quindi che il Piano Paesaggistico d’Ambito 9, per ora vigente in regime di salvaguardia, venga approvato in via definitiva dall’Assessorato regionale ai Beni Culturali. Il Piano Paesaggistico d’Ambito 9 infatti aspetta di essere approvato dal 2010.
Chiediamo a tutte le amministrazioni comunali che hanno a cuore la lotta all’inceneritore di farsi portatrici di questa richiesta nei confronti dell’Assessore regionale ai Beni Culturali.